Trent’anni fa un giornalista che è presente in questa sala, Gianfranco Tommasi, figura di riferimento per i giornalisti di Verona, incontrò un sacerdote un po’ male in arnese. Alla domanda da dove venisse in tali condizioni, il padre filippino rispose in dialetto: “Son andà a far el ben che no se vede”. Il bene che non si vede. E che è rimasto invisibile, visto che non sappiamo se il religioso fosse andato ad assistere un malato o una famiglia bisognosa o a fare altro. Tommasi riferì l’episodio a un gruppo di colleghi dell’Ucsi di Verona e da lì nacque l’idea di premiare chi quel bene sceglie di raccontarlo, di farlo uscire dall’ombra della riservatezza e della discrezione personale, cioè di comunicarlo rendendolo patrimonio pubblico condiviso.
Quali sono le “buone notizie”? E perché un premio giornalistico dedicato a esse? A trent’anni da quegli esordi, dobbiamo riconoscere che l’intuizione di allora fu lungimirante. Nelle redazioni giornalistiche si usa dire che “il bene non fa notizia”: eppure il Corriere della Sera, primo quotidiano italiano, dal 2017 pubblica un inserto settimanale dedicato alle “buone notizie” fin dal titolo, che tra l’altro ha ricevuto uno dei nostri premi. In questi trent’anni, grazie alla passione di numerosi colleghi veronesi succedutisi negli anni ai quali oggi va la nostra riconoscenza, il premio ha detto tante cose. Ha inteso dare voce a un’Italia reale, fatta di persone che si fanno carico dei bisogni degli altri, che riconoscono un’evidenza semplice ma a volte dimenticata se non cancellata: cioè che l’altro è un bene per sé. Il premio ha contribuito a far conoscere tante straordinarie storie ed esperienze di gratuità e di condivisione. Ha inteso fare parlare la realtà e la vita della gente prima delle teorie, delle opinioni e delle contrapposizioni ideologiche.
È una narrazione diversa del nostro Paese che abbiamo contribuito a costruire in questi trent’anni. Un Paese dove non è vero che tutto va male, dove ci sono grandi riserve di energie pronte ad attivarsi per sostenere chi tali energie non ha: un esempio di questo “bene” l’abbiamo visto il mese scorso al quartiere Corvetto di Milano dopo la morte di Rami Elgaml. I giornalisti che sono andati a raccontare la presunta banlieue hanno scoperto che l’unica vera presenza sociale era quella di un gruppo di suore e di volontari a loro legate che garantiscono accoglienza e doposcuola ai ragazzini. L’unica. Un bene invisibile ma reale e che costruisce una convivenza nuova.
Il Premio Natale Ucsi vuole incoraggiare i giornalisti che raccontano queste situazioni in modo non disperante ma generativo. Si dice che il bene è contagioso ed è vero: raccontare certi fatti – e dal nostro punto di vista farli conoscere a una platea più vasta – ha un effetto moltiplicatore. È un giornalismo non pettegolo e in questo è controcorrente rispetto a un modo prevalente di fare informazione, e forse è anche per questo – non solo per la discrezione e il pudore di cui parlavo prima – che il bene “si dice” poco. Raccontare il bene, cioè i gesti che costruiscono, è anche un invito ad agire e a lavorare concretamente per un cambiamento, per costruire assetti sociali più umani e più giusti. Le realtà sociali, il terzo settore e la miriade di iniziative spontanee sono un serbatoio di saperi, esperienze, generosità e costruttività che vanno a beneficio dell’intera società civile. Non sono fatti privati o un’esclusiva di “chi se la sente”. In questo, dobbiamo ringraziare tutte le realtà economiche, finanziarie e produttive veronesi che riconoscono il valore del nostro impegno e lo sostengono offrendo ciascuna il proprio contributo. Come si vede dalle locandine, è un elenco lungo.
Alcune delle persone che hanno reso il Premio Natale Ucsi quello che è oggi non ci sono più. Penso in particolare al “profe” Giuseppe Faccincani, alla cui memoria è dedicato il premio. Il “profe” fu maestro di tanti giornalisti veronesi e con il suo lavoro di lunghi anni come capocronista del quotidiano locale L’Arena diede un’impronta all’informazione veronese che ci auguriamo non venga cancellata. Ricordo poi con grande affetto e riconoscenza don Bruno Cescon, per anni presidente della nostra giuria che ha guidato con la saggezza e l’equilibrio che lo contraddistinguevano. È stata una perdita dolorosa. Don Bruno è mancato un anno fa e in sua memoria i suoi amici più stretti ci hanno donato una somma per rifare il sito Internet: grazie di cuore. Poche settimane fa è scomparso un nostro socio storico, Carlo Caporal, cantore della Lessinia. E anche se non era socio Ucsi, vorrei ricordare anche il giornalista Riccardo Bonacina, di cui ieri è stato celebrato il funerale a Milano, che ricevette il premio Giornalisti e società nel 2012. Pochi giorni prima, ringraziando per un dono ricevuto, Bonacina aveva scritto: «Siamo regalo gli uni agli altri».
Proprio così: siamo dono reciproco, e quando c’è un dono c’è sempre un donatore. Ogni gesto di bene, di attenzione e cura, ogni espressione di tenerezza, ogni opera di misericordia è un riflesso dell’amore di Dio (sono parole di papa Francesco). E il nostro premio è un piccolo tentativo di riconoscere queste scintille di luce nel nostro mondo buio.
Il sito www.premioucsi.it è un progetto di comunicazione donato da don Bruno Cescon
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